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Paranoia

Pubblico un racconto che ho scritto circa 9/10 anni fa. Racconta del mio primo vero viaggio, sapete, quello in cui ci si sente per la prima volta davvero liberi, cittadini del mondo e grandi sperimentatori… Infatti, se lo leggerete, vi accorgerete che in alcune parti non rispecchia più quella che è la mia posizione di ora rispetto a certe tematiche, ma allora ero nel pieno della scoperta di quel mondo, quel mondo in cui avrei poi vissuto per parecchi anni, quel mondo in cui la trasgressione, l’esagerazione e l’abuso erano le leggi che lo facevano ruotare… Quel mondo che poi ho lottato così tanto per rifuggire e trasmigrare altrove.

Fra le tante sostanze testate ci sono stati anche i funghi allucinogeni che indubbiamente tra tutte le droghe, insieme alla marijuana, sono i meno nocivi, ma che richiedono una certa “preparazione” perché possono condurti dove non vorresti andare o dove la tua mente non è pronta ad aggirarsi. E il racconto narra proprio di questo.

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Dedicato a mia madre,

per esserci sempre stata…

 

Era un uggioso giorno di novembre e tutto sembrava muoversi nel tempo come il quotidiano è solito proporci. Kahled quindi non presagiva nulla di quello che era, stava e sarebbe accaduto in quelle brevi ore che sarebbero seguite. La vita per lui si era sempre diramata nei meandri dell’autodistruzione senza che mai si fosse realmente chiesto il perché o forse senza essere mai stato in grado di scoprirne realmente le motivazioni. Va bene che la psicanalisi moderna spiega che non serve rincorrere nel passato i traumi infantili per porre rimedio alle devastazioni psichiche contemporanee di ogni individuo ma probabilmente in alcuni casi non pare nemmeno così assurdo cercare di capire perché il male ci mangia da dentro, sempre, ogni giorno, ogni fottuttissimo giorno che passa. Kahled era un ottimo musicista autodidatta ed era solo nella sua chitarra, nei suoi arpeggi, nei suoi reef  che trovava sfogo a quelle paure violente ed affamate come i cani che nei campi nazisti avevano distrutto le gambe di suo nonno: ufficiale integerrimo che per aver rifiutato di perpetrare i mali del nazifascismo era stato costretto a subire. Kahled era un giovane italiano figlio di una splendida donna toscana e di un anti-integralista tunisino che dell’arte e dell’amore per essa aveva fatto il suo filo d’Arianna. La loro era una famiglia (altro…)

 

 

 

“Io non lo so
se
Vivere o Morire
sia una scelta che
dipende da noi.
Io so soltanto
che prima o poi
accade,
accade che noi poveri
cani
moriremo:
per droga
per alcool
per solitudine
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La vita in
fondo cos’è
se non un tira -
molla tra pianto
e riso,
un tira - molla che,
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 SU e GIU’ –  UP & DOWN – ARRIBA y ABAJO – HAUT et BAS – 上下 – OMHOOG en OMLAAG – Вверх и вниз – NACH OBEN und UNTEN

Il giorno che ho scoperto di essere bipolare è stato un giorno molto strano… non che quelli trascorsi fin lì fossero stati da meno, ma diciamo che erano i contenuti a renderli diversamente strani… diciamo così… Fino a quel giorno di circa sei anni fa era stato un continuo anniichilirsi annichilire ciò cheTequila Sale Y Limon provavo immergendo il cervello in un bicchierino di Josè Cuervo Espcial (quella gialla…) o nell’oblio di quealche polverina possibilmente dagli effetti sedativi. Non ho mai amato eccessivamente ciò che eccitava, diciamo che non ne avevo bisogno e che anzi contribuiva solo ad aumentare le mie paure, a incrementare la quantità di pareti al labirinto emozionale in cui ero stato recluso, insomma, se non c’era altro andava bene pure quello, però… Il dictat era: ANNIENTA la lucidità – ANNIENTA la ragione – ANNIENTA la bestia che divora lentamente la tua anima, e la sola arma a tua disposizione è lo stordimento! Purtroppo non sapevo che stavo solo complicando le cose, che avrei dovuto combattere molto di più, che sarei passato da dipendenze (illegali) ad altre (legali). Ma se questo è il prezzo da pagare per una vita degna di questo nome o anche solo per una vita sono pronto a pagarlo… cash! Comunque quel fatidico giorno di sei anni fa mi ritrovai nello studio di uno pasichiatra estremamente conosciuto, nel quale, confesso, non riponevo grande fiducia considerando che altri prima di lui avevano azzardato diagnosi e terapie con il solo risultato che non c’era stato risultato… Casomai un peggioramento. Proprio il precedente – tra l’altro allievo di uno dei più famoi psichiatri italiani -, dopo una visita di una decina di minuti in cui faceva solo finta di ascoltare quel che dicevo, mi aveva prescritto un antidepressivo (il Fevarin, me lo ricordo ancora…) e con una (altro…)

GABBIANI

Tratto da Kapovolti, Marsilio Ed., Venezia 1998

Stavo tornando dal Lido su un battello di linea 1. Era il battello che impiegava più tempo per raggiungere Rialto, la fermata alla quale dovevo scendere. A quell’ora e in quel periodo dell’anno transitare, o meglio, navigare sulla laguna è stupendo e si desidererebbe non fermarsi mai: il sole che tramonta, l’acqua della laguna che si tinge del rosso e dell’arancione del sole, quasi questo si stesse sciogliendo nel bacino lagunare, i gabbiani che seguono il battello con la speranza che qualcuno getti loro da mangiare un pezzo di pane. E’ uno spettacolo meraviglioso, che può rallegrare o rattristare. A me rattristava. Il mio era uno di quei periodi cosiddetti neri. Stavo mettendo in forse tutte le mie amicizie e i miei sentimenti; cominciavo a credere di essere una delle persone più sfortunate sulla faccia della terra: nessuno mi capisce, nessuno mi ama, nessuno… nessuno… le solite frasi, i soliti discorsi autodeprimenti e autodegradanti, insomma. Quando ad un tratto davanti a me si erano seduti  un ragazzo sui 30 anni e una donna che ne dimostrava almeno 80. Una volta sedutisi il ragazzo si era alzato il bavero del consunto cappotto blu scuro per il freddo che filtrava dalla porta anteriore e da quella posteriore, unendosi in un gelido legame, quasi a volerci gelare, e aveva adagiato la guancia sinistra sulla spalla destra della donna, sua madre senza dubbio. Il ragazzo era un classico tossicodipendente, magro, enormi occhiaie nere e un continuo prurito che sembrava lo spingesse a volersi scarnificare il viso, La madre, allora, aveva alzato la mano destra e l’aveva posata sul viso del figlio cominciando ad accarezzarlo. Poi aveva cominciato a giocherellare col lobo e aveva iniziato a piangere. Delle lacrime fluide, silenziose, attente a non farsi scoprire, ma altrettanto attente a far soffrire. La donna probabilmente aveva dieci anni di meno, ma una vita come quella che doveva aver fatto certo non l’aveva aiutata a mantenersi in salute e a curare il proprio aspetto fisico. Ad un tratto il braccio del figlio si era alzato e aveva cinto le spalle della madre, la quale si era coperta il viso nel tentativo di frenare quel fiume in piena che le stava sgorgando dagli occhi.

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Stavo disteso sul letto da giorni quando ad un tratto aprii gli occhi e mi accorsi che la mia camera era profondamente oscura, così come lo era la mia vita. Allora decisi che stop, basta sarei uscito e sarei andato per il mondo. Sì, cazzo, da quel giorno sarei andato per il mondo e avrei guardato, avrei visto e avrei soprattutto osservato. Quindi mi alzai e aprii gli scuri della mia camera facendo entrare una splendida luce che ornò improvvisamente parte della parete opposta, la luce era tale che dovetti chiudere di qualche stop i miei occhi e attendere qualche rateo di luminosità prima che la composizione della stanza fosse perfetta e a quel punto scattai la mossa decisiva che mi portò alla porta attraverso cui m’infiltrai per le vie della città. Ero ebbro di quella nuova sensazione che da lungo tempo non provavo più, ero ebbro di quelle istantanee che i miei occhi catturavano l’una dopo l’altra come fulminei flash di situazioni fino allora sconosciute. D’un tratto mi trovai a camminare nella più squallida e desolata delle periferie e anche lì decisi che stop, dovevo fermarmi e pensare. La città, per quanto fosse piena di aberrazioni, mi era parsa accettabile, mi era parsa semi-umana e comunque meglio dell’oscurantismo nel quale mi ero fino a quel momento celato alla vita, ma quella periferia con le sue mostruose fabbriche mangia natura e clima non riuscivo a sopportarla. Sentivo dentro tanti scatti di malinconia, d’impotenza, d’inutilità e così per meglio cogliere ciò da cui il mio ego era impressionato decisi di entrare in una di essa e di scoprirla dalle sue viscere…

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Approcci auspicabili e deprecabili nel trattamento di pazienti con problemi tossicomanici e/o psichiatrici

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( a Vittore )

 

CAPITOLO PRIMO

            LA PERCEZIONE

              DELLA SOFFERENZA

 

Nella vita di ciascuno di noi esistono momenti essenziali, eventi modificatori, fulminee ma vitali prese di coscienza. Giungono inattese e da quel istante in poi nulla è più come prima. Ciò che fino ad allora sembrava seguire un percorso immutabile, subisce una frattura tanto netta quanto risolutrice che innesca un processo inversamente proporzionale atto a condurre al reale cambiamento. Queste inversioni di marcia spesso si concretizzano al raggiungimento di una saturazione interiore che ci pone in uno stato di pressione tale da percepire l’intensa necessità di aprire una reale valvola di sfogo. E così ecco che siamo pronti a recepire e contemporaneamente attuare il cambiamento. Per me questo accadde un giorno di settembre di un anno fa. Non ricordo quasi nulla di quel giorno! Solo sprazzi del mio sempre più atroce naufragare nell’oceano della sofferenza senza ragioni apparenti. Sapete, quel lento, ma inesorabile rodimento che ti conduce al baratro e poi, come nulla fosse, ti ci spinge dentro. Ti chiedi, impotente, cosa stia accadendo; il perché di quella costante angoscia, ansia, insicurezza; da dove giunga e cosa nutra l’immutabile ed auto referenziale percezione di un continuo franare, sgretolarsi del tuo essere sotto i colpi della vita. Ma soprattutto desideri capire perché ciò che gli altri sanno affrontare, per te sia un ostacolo insormontabile. Gli ultimi, lunghi, lunghissimi anni, offerti in un involontario rito sacrificale, sono stati spesi nella ricerca di qualcuno che, finalmente, potesse, o almeno tentasse sinceramente e professionalmente di rispondere a queste domande, che si adoperasse con impegno reale per il ridimensionamento  di questa voragine che in te si allargava, ma incredibilmente, paradossalmente più aumentava la necessità, la brama di comprendere, di guarire, più i “saggi della medicina” tacitamente palesavano la propria incapacità e vile superficialità. “Paga – o lascia che lo Stato paghi per te – e non disturbarci, non disturbare la già fin troppo benevola Società che per te sta molto facendo…”: incarcerandoti in comunità inutili e umilianti, in gabbie mentali, offrendoti vitto e alloggio, ma nessuna soluzione, cura per la tua malattia, anzi, per quanto in suo potere, aumentando cattolicamente i tuoi sensi di colpa e le tue paure. E così continui a chiederti, interrogarti, (altro…)